Tempo sospeso

Capita, a volte, che all'improvviso il tempo si fermi.
Stai correndo, come sempre. Ormai è diventata un'abitudine, quasi una patologia cronica con la quale convivi e che ti tiene compagnia.

Ti affretti, non ti volti neppure indietro. Guardare avanti è proibito. Solo correre, correre, non perdere il ritmo, stringere i denti, prendere fiato e non mollare.

Poi basta una manciata di note, il martellare dei tasti di un pianoforte, la vibrazione di un contrabbasso che ti avvolge come una calda sciarpa. Tutto si ferma.


Io non so scrivere di musica. Non la conosco, fatico perfino a riconoscere le note sul pentagramma.
Mi sembra quindi improprio mettermi a dissertare di melodie, accordi e altri ingredienti per me astrusi.

Conosco il linguaggio della pittura e della scrittura: le note mi sono straniere. 

Posso quindi solo parlare delle emozioni che un brano mi sa regalare.

Si è trattato appunto di un dono, tanto più gradito quanto inaspettato.

La fretta di scartarlo, le mani che rapidamente lo infilano nel lettore dell'auto. 

L'urgenza di ascoltarlo, come quando si ha sete e l'unica cosa che si desidera fare è attaccarsi al collo di una bottiglia e bere, bere fino a quando l'arsura non si placa.

Parte piano, discreto, non travolge, chiede quasi il permesso. Poi cresce e colpisce. A volte sono carezze, altre pugni allo stomaco.

Rallenta nuovamente e risale come la risacca in una nebbiosa giornata autunnale.

Arrivo a casa. Faccio ripartire nuovamente la musica.

Mentre le note iniziano a girare per la stanza e a riempirne il vuoto, io seduta sul divano, perdo la cognizione di tempo e spazio.

Le pareti si annullano e io sdraiata su un prato sbiadito dai primi freddi. Intorno a me il rosso degli alberi e le cime nude dei miei monti. Sopra di me un cielo limpido che annuncia però nubi lontane.

È' un minuto o forse un'ora, magari giorni interi. Non è importante. Non sento il bisogno di quantificare il tempo che scorre, perchè il tempo ha chiesto una tregua.

Sto bene: non ho fame, non ho freddo e non ho paura di aprire la finestra e guardare cos'è rimasto di me, sopravvissuto ai minuti macinati è mai deglutiti.

Sto scrivendo, ma non ho nè penna nè foglio. Scrivo dentro di me e racconto pagine e pagine di ricordi lontani nel tempo e nello spazio.

Sorrido. Una lacrima di nostalgia mi riga il viso, residuo di un'immagine che il tempo ha sbiadito, non cancellato.

La musica si ferma e io con lei. Sto immobile e lascio che il retrogusto delle note mi coccoli ancora un poco il palato.

Ritorna il ticchettio dell'orologio. È tranquillo, come il mio respiro.








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