Fine corsa

Una volta avrei gradito una risposta al silenzio e al tenermi a distanza.

Mi sono spesso domandata:"Dove ho sbagliato ora? Ho ripettatato attentamente ogni prescrizione, come il pazienete che prende nota delle indicazioni del medico per poter guarire".

 Ho evitato luoghi e persone in comune.

Ho dismesso gli abiti da amica.

Ho parlato solo se interpellata.

Quando ho osato un passo in più, l'ho sempre fatto in punta di piedi e chiedendo permesso e scusa.

E Mi sono sentita ugualmente una persona sbagliata, brutta, un incontro su cui è meglio tirare una riga sopra.

Ho permesso che mi si vomitassero addosso accuse  fino a svuotarsi, rispondendo il minimo sindacale, perchè a me non era concesso il tempo per l'ascolto.

Accuse assurde, reali solo nella mente di chi sa di riversare sull'altro anche buona parte delle proprie responsabilità, riscrivendo un passato recente, per poi rileggerlo a proprio vantaggio.

Adesso no, non ho più bisogno di risposte, mi bastano le mie, quelle che ho estirpato dai miei giorni trascorsi, scavando dentro di me, alla ricerca del peccato originale.

E ho deciso di assolvermi.

Amen!

Ho accettato le persone che sono entrate nella mia casa, accogliendole come sono capace, magari non da gran dama, da amica sì, però.

Ho dedicato il mio tempo per regalare quello che con le mie mani so cucinare, per rendere vera la condivisione della tavola.

Ho ricordato compleanni e ricorrenze, perchè è bello far sentire a chi si ha a cuore la propria vicinanza, credo.

Ho telefonato quando qualcuno non stava bene e ho offerto il mio aiuto.

Ho conservato per me le confidenze e mi sono fidata a mia volta.

Sono stata leggera nel valutare il peso di un dono o di un abbraccio? Può essere, ma l'intenzione non era quella di ferire,  men che meno dividere.

Ecco, questo è tutto quello che ho trovato.

Io mi assolvo.

Voler bene non è un reato.

Ripiegò per bene il foglio di carta, in modo da farlo comodamente accomodare dentro la busta verde, di carta riciclata.
Poi, presa la penna nera, e adagiata la mano calma sul retro della busta iniziò a scrivere, solo il nome, nessun indirizzo, nulla.

La sua grafia era limpida, come le sue idee, finalmente

Quindi sigillò la busta e poi la ripose nella tasca esterna della sua grande borsa in tela di canapa.

Si infilò le scarpe, indossò la sua giacca di pelle verde bottiglia e chiuse dietro di sè la pesante porta.

Due giri di chiave.

Era un giornata calda, anche se il vento sapeva ancora un poco d'inverno. Il passo lento, quello delle escursioni estive.

Lo sguardo si posava sulle solite strade, sugli stessi edifici di sempre, con lo stupore del turista che incrocia per la prima volta un nuovo paesaggio.

Una camminata piacevole, venti minuti un passo dietro l'altro, senza rallentamenti o ripensamenti.

Già si scorgeva il palazzo con i lunghi balconi vestiti di fiori.

Pochi metri ancora, poi era fatta.

Aggrappate alla cancellata anteriore, vecchie cassette della posta, cimelio di un passato che si era voluto imbellettare con una rapida piastrellatura.

Con indice e pollice ne aprì lo sportellino e vi fece scivolare la lettera.

Si girò e, con lo stesso passo calmo, ma il cuore in gola, tornò indietro.

Aveva finalmente lasciato volare via il suo palloncino. Nulla più lo tratteneva.



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