Quando penso a Cerrè


Vorrei riuscire a scrivere di questo micro mondo che sento mio più di qualsiasi luogo al mondo.
Un mondo che ha ancora il sapore dei vecchi tempi, dove fare la spesa è ancora ritrovarsi alla bottega, scambiare quattro chiacchiere, ritrovare visi noti e rivedere nei volti di chi si incontra, pochi, lo scorrere del tempo.
 Tutto sembra cristallizzato in un passato non molto lontano, per me ieri.

Vorrei raccontare degli strani personaggi incrociati nei miei 48 anni: i loro nomi così buffi, i modi di dire che ancora oggi, quasi come epiteti, accompagnano le loro gesta paesane.

Vorrei e non so da dove iniziare, perché la materia è tanta e ancor più l’emozione.

Certo che, aggirandomi per il cimitero, si trovano più amici lì che in paese.
E’ tristemente così. A volte mi capita di restare sorpresa di fronte alla foto di una lapide. Ma come, anche lui? Credere qualcuno ancora in vita, immaginarlo, io a Milano, compiere i gesti quotidiani, battere le poche strade che tracciano il perimetro del borgo.
E poi trovarlo al campo santo.

Forse il segreto per restare vicini e non perdersi sta nell’immaginare le persone che ci sono care sempre attive, ciascuna racchiusa nei propri piccoli grandi gesti giornalieri.

Qui la morte davvero ha la forma della falce, perché uno in meno significa, a volte, un’intera casa che si chiude: le persiane che non sorridono più al mattino, la porta che non respira più gli odori della cucina.

Il mio paese, Cerrè, è il ritrovo delle tante anime che durante l’anno corrono fino allo sfinimento, per poi ritrovarsi, l’estate, qui, dove tutto è quiete e il rombo di un motore, la notte, desta stupore e noia.
Il tempo è scandito dai giorni di mercato e dalle sagre paesane, per il resto è quasi immobile, fino a quando ti accorgi che mancano poche manciate di ore alla partenza e allora lo scorrere delle lancette torna ad essere motivo di smarrimento e nostalgia.

Le foto, sì restano quelle, a ricordo di una dimensione che è lì ad attendere, ma tarda sempre a venire.
Mancano però gli odori, i sapori forti del formaggio di pecora e del toscano, quel vino corposo che conosci da sempre e che è sangue di famiglia.

Così provi a colmare quel vuoto col surrogato delle scorte: chili di Reggiano, salami, formaggi di pecora e capra che, però, lontano dal tuo micro mondo, perdono il loro valore, come una copia ben eseguita di un dipinto.

Hai voglia a rimestare nella memoria: ti avvicini, ma non riesci a toccare, perché è l’aria a mancarti.

Vorrei tanto riuscire a scrivere del mio paese, ma, quando mi ci metto, la mente va per conto suo e tutte le intenzioni iniziali vengono trangugiate da un senso di malinconia che non so spiegare.

Allora vedo di essere indulgente con me stessa e mi dico che, magari, sarà per la prossima volta.

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