Ricordi

Questa mattina ci siamo svegliati con una certezza: la neve.
L'avevo già scorta dal letto, ancora mollemente straiata sotto il piumone: era lì, ad imbiancare il tetto della casa di fronte.
 Scendeva timida, a piccoli fiocchi, quasi impercettibile, ma scendeva.
Mentre ci dirigevamo al mercato, in un paese vicino, si è fatta coraggio e ha aumentato la sua consistenza e la sua frequenza, fino a diventare un vero e proprio muro bianco che, velocemente, andava depositandosi al suolo.
In poco tempo il bianco ha iniziato a circondarci annullando distanze e suoni.
Un attimo, un battito di ciglia.
Sedici anni fa la stessa strada, lo stesso paesaggio, ma una compagnia diversa: mio padre?
È stata, quella, la nostra ultima vacanza, l'ultimo Natale davvero spensierato della mia vita.

Era il 27 dicembre e io dovevo rientrare a Milano. Nonostante avessi già iniziato ad insegnare, da precaria super, avevo preferito mantenermi anche il posto come archivista preso la cooperativa per cui lavoravo. Le ferie erano terminate, era ora di fare i bagagli. In realtà avrei potuto fare una telefonata, inventare una scusa qualsiasi e procrastinare la partenza, ma non l'ho fatto e me ne sono pentita, tanto, troppo.

 Mi è sempre pesato lasciare la montagna, ma quella mattina sentivo che quel saluto, quell'arrivederci celava uno strappo più profondo, una lacerazione che mi sarei potata dietro per sempre.

Provavo netta la sensazione di un qualcosa che non sarebbe più stato uguale.
In auto con mio padre e lo zio Vito non parlavo, ma nel mio silenzio bevevo quelle strade, i monti tutti coperti di neve, tanta. Non volevo lasciarne neppure un fiocco. Tutto
 Doveva rimanere fissata dentro di me la fotografia di una vacanza serena, spensierata e allegra, come  non ne avrei più avute. Mi stavano accompagnando a Villa, da mia cugina Lorena con la quale avrei proseguito fino a Reggio.

Non potevo sapere, razionalmente nulla poteva far pensare a quello che un mese dopo sarebbe accaduto. Ma se la ragione diceva vai, il mio cuore rispondeva rimani e goditi la tua giovinezza che mai più tornerà.

Ho seguito la testa.

Un mese dopo, accanto a mio padre, in coma, ho ripensato a quel viaggio. Avrei dato dieci anni della mia vita per poter tornare indietro e cambiare risposta, seguire il mio istinto.

Ancora oggi quando vedo la neve non riesco a non pensare a quel 27 dicembre 2001 e come allora mi sento così stupida, perché, nonostante i tanti propositi nati dal dolere anche adesso, anche ora a distanza di sedici anni, non ho ancora imparato a mettere in attesa i tanti, troppi impegni e dare la precedenza alle persone.

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