LA PASSIONE RIBELLE

Paola Mastrocola
 
 
LA PASSIONE RIBELLE 
 
 Anni fa Finardi scrisse  "Musica ribelle", manifesto di una generazione che nella musica aveva trovato il proprio canale di contestazione.

Oggi i tempi sono cambiati, molto, troppo, e per ribellarsi si studia.
 
Questo, in due parole, il sunto del libro-saggio di Paola Mastrocola.
 
Studiare, ovvero dedicare il proprio tempo alla conoscenza fine a se stessa e non veicolata al raggiungimento di un qulasivoglia meta (lavoro, successo, soldi) è fare la rivoluzione, dal momento che più nessuno, neppure la scuola si occupa dello studio.
 
Già, la scuola, l'università, luoghi un tempo deputati allo studio e ora locali di intrattenimento di generazioni alla ricerca  più che di se stessi della propria proiezione nell'etere.

Perchè, secondo la nostra scrittrice e professoressa, a scuola nessuno più chiede agli studenti di applicarsi negli studi, loro che solo  sulla carte sono il participio presente del verbo studiare, al punto che oggi la burocrazia li definisce utenti.
 
Un testo volutamente provocatorio, perchè, se in alcuni punti l'autrice eccede, un po' per zelo, un po' per nostalgia dei bei vecchi tempi, è pur vero che la china che ha imboccato non fa ben sperare.

Tra sigle, acronimi e compagnia bella, talvolta mi chiedeo se i documenti che guidano l'istituzione scolastica siano frutto di un ministero o il parto di un autore di fumetti:"Ptof ptof! Chi è? Sono Bes, il nipote di Pei, mi apri per cortesia?".

La scuola non se la passa bene, per nulla, e noi insegnanti spesso, complice una stanca rassegnazione, non facciamo niente per rivendicare il nostro ruolo e l'importanza che questo che assume nella formazione della società.

Accettiamo passivamente revisioni, o meglio, riduzioni di programmi spesso frettolosamente definiti obsoleti, in nome di una modernità che non sappiamo neppure dove potrà portarci.

Sono la prima a sostenere che per catturare l'attenzione sempre più labile delle nuove generazioni (sempre più labile? o siamo noi che pretendiamo sempre meno e loro, furbetti, giustamente, ci sguazzano?) occorre parlare una lingua che non sia troppo distante dalla loro.

Non troppo distante, non la medesima!

Strumenti nuovi, va bene, programmi (che poi non ci sono neppure più), più aggiornati, ma non credo che studiare storia o leggere Dante possa causare loro deformazioni o provocare reazioni allergiche.

La cultura, chiamiamola pure col suo nome, senza vergogna, non ha controindicazioni, al contrario dell'ignoramza che di effetti collaterali ne ha e anche largamente attestati.

Allora perchè tanta paura? 

Non mi si dica che i ragazzi oggi sono diversi e che non sanno, non si sa perchè, più concentrarsi e apprezzare Omero, perchè, ora mi ribello io: non è vero!

Lo scorso anno, scolastico ovviamente, ho affrontato Iliade e Odissea con i miei fanciulli di prima media.
Erano entusiasti di leggere di Ettore e Achille, viggiare con Odisseo, piangere con Penelope...

Saranno mutati il loro abbigliamento, i loro giochi, gli spazi di aggregazione, ma i sentimenti no, sono sempre gli stessi.

Tra qualche settimana attaccherò con Dante: voglio davvero vedere come sarà la loro reazione.
 
Ormai è qualche anno che insegno e devo dire che, fino ad ora, non ho visto nessuno tentare la fuga al solo citare gli autori o parlare di storia.
 
Certo, nessuno si è strappato le vesti al termine della scuola, disperato all'idea di non poter più leggere Ariosto o disquisire di Leopardi.
 
Per tirare le fila di questo mio sproloquio.
 
"La passione ribelle" è un testo che consiglio soprattutto agli addetti ai lavori, da leggere criticamente, ma senza essere troppo prevenuti, perchè, pur talvolta eccedendo, racconta anche tante verità che, chi insegna, vive ogni giorno.


 
 

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