BRANCO

Ieri, domenica, pomeriggio in compagnia della mia amica Lucia.

Era una vita che non facevamo le "sciure" provando abiti, scarpe, io persino un paio col tacco alto alto alto. Sembravo una cicogna con le zampe lunghe lunghe. Decisamente non fanno per me.

Poi dal frivolo, come sempre accade quando siamo inseme, il passo è brevissimo, si passa agli argomenti veri, quelli che toccano la carne e, spesso, fanno piangere.

Quando un'amicizia ha sulle spalle ben più di vent'anni, ricordare viene spontaneo.

Ci è presa allaora una forte malinconia per il nostro gruppo di amici, il branco (l'espressione, purtroppo non è mia).

Già, il branco, quel folto numero di persone che tu sapevi sempre dove e quando trovare e presso il quale ti andavi a rifugiare per leccarti le ferite, perchè sicuro, perchè guardingo, perchè famiglia.

Più ancora della sensazione di sconfinato futuro davanti a sè, una sensazione effimera e destinata a finire in un battito di ciglia, è questo nucleo protetto che spesso, col passare del tempo, manca.

Ci si sbriciola lungo il cammino e non si è più pane. 

Ci si rivede sporadicamente, talvolta ad appuntamenti fissi come sagre di quartiere.

La gioia è immensa quando tra la folla si riconoscono gli occhi amici con i quali siamo cresciuti e che ci hanno aiutato a crescere.

Ma non è lo stesso che sapere che là, in una trattoria maleodorante di fritto, ad un tavolo che andava via via crescendo, c'era sempre un lupo amico col quale alzare un bicchiere e brindare alla gioia del ritrovarsi.

Mi rendo conto a distanza di tempo, tanto tempo, della fortuna avuta, degli incontri  fondamentali che ho fatto nella mia giovinezza.

Incontri senza i quali non sarei la donna che sono ora. Qualcuno potrebbe obiettare: "Che sfiga!".

Le letture condivise, i film divorati in VHS o di mercoledì, quando il cinema costava meno. Le rassegne estive alla Rotonda della Besana, con gli zampironi sotto le sedie per non essere massacrati dalle zanzare.

Le cene improvvisate da Lucia dove: "Galo, tu vieni?" "No, ceno a casa". E poi arrivava col suo sorriso sornione e ricenava con noi facendo anche la scarpetta.

Le serate a bere birra dall'Umberto, il nome della birreria neanche lo ricordo. I sabato sera all'Arci Bellezza" e le domeniche all'Ittolittos ad ingozzarsi di jazz tradizionale con le borse carriche di birra poratata da casa per bere tutti quanti pagando una sola ordinazione.

E poi il sentirsi liberi, liberi di trovarsi senza orpelli, senza il "cosa mi metto".

Solo in montagna, nel mio nido, ritrovo la libertà dell'assenza delle convenzioni sociali, la stessa libertà del branco. Torno allora allo stato brado e mi piace respirare ancora quell' alzare le spalle, anche un po' strafottente.

Le mille più una cazzate fatte e condivise senza sentisi giudicati, piuttosto redarguiti perchè amati.

Quante volte mi sono sentita raccogliere pezzo per pezzo quando avvertivo che mi stavo sgretolando e poche erano le energie per fermare il processo di disgregazione. Spesso l'input poteva partire anche solo da una parola o da una battuta del tuo branco. A volte non serviva neppure una mano tesa.

Ora il branco non c'è più, o meglio, si è di molto ridotto, praticamente è un binomio, ma forse è giusto così.

So però sempre dove trovare Lucia e so che la sua mano, anche quando pare traballare, è salda.
Lei sa sempre dove trovare me.

Ogni tanto cade una, ogni tanto cade l'altra, talvolta cadiamo entrambe, ma le nostre mani sono sempre pronte a sorregere l'altra.

Vorrei usare per laLU l'espressione di amica-sorella, ma qualcuno l'ha usata nei miei confronti e poi è sparito, dimenticandosi e dell'amica e della sorella.

Allora, scaramanticamente, la chiamo solo amica, che non è poco.

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