VACANZA
C’è, insieme all’euforia delle vacanze che si affacciano
alla porta, un non so che di sospeso e di irrisolto, un qualcosa di non ben
definito che talvolta può assumere quasi i tratti della malinconia.
Riaffiorano in superficie le parole di un brano, “Inverno
in Abruzzo”, tratto da un libro di Natalia Ginzburg, un libro che ho letto e
riletto più volte nel corso della mia vita: “Le piccole virtù”.
“C’è una certa
monotona uniformità nei destini degli uomini. Le nostre esistenze si svolgono
secondo leggi antiche ed immutabili, secondo una loro cadenza uniforme ed
antica. I sogni non si avverano mai e non appena li vediamo spezzati,
comprendiamo a un tratto che le gioie
maggiori della nostra vita sono fuori dalla realtà. Non appena li
vediamo spezzati, ci struggiamo di nostalgia per il tempo che fervevano in noi.
La nostre sorte trascorre in questa vicenda di speranze e nostalgie”.
Durante l’anno non facciamo altro che accantonare progetti,
sogni che dilazioniamo nel tempo, il tempo delle vacanze.
Libri che abbiamo accumulato sul comodino e non abbiamo
ancora letto, viaggi che abbiamo progettato e non abbiamo ancora fatto,
appuntamenti segnati su un’agenda ad una data che non abbiamo mai fissato.
Terminato il tempo del cartellino da timbrare giunge quello
della dilatazione dello spazio temporale che talvolta, soprattutto nei primi
giorni di vacanza, ci coglie impreparati e ci impedisce di rallentare il nostro
passo frenetico da cittadini sempre di corsa, per assumere quello dinoccolato e
scanzonato di chi ha riposto l’orologio nel cassetto.
So che domani la sensazione del dover fare mi accompagnerà
per tutta la giornata, e forse anche dopodomani, per poi scemare a poco a poco e
ridonarmi quella sensazione di respiro libero che l’incastro dei mille impegni
spesso mi ha limitato.
I saluti con in colleghi, abbracci e promesse di incontri,
cene, bevute insieme aleggiano ancora nell’aria.
Non amo i saluti, ancora meno quelli accompagnati da lunghe
tavolate.
Preferisco quelli più intimi, in cui è possibile guardasi
negli occhi e regalare all’altro un piccolo pezzo di sé e la tacita promessa di
un’amicizia leale sancita dal tintinnio dei bicchieri che si toccano.
Anche se maschero bene, sono sempre molto a disagio nelle
situazioni dilatate. Temo i luoghi chiusi e altrettanto la folla.
Nascondo il mio disagio con battute e risate che però non sempre
sono accompagnate dal sentirmi completamente me stessa.
Questo da sempre, anche quando si era nel branco. Ai grandi
numeri ho sempre preferito quelli a poche cifre.
Il restringere e selezionare è direttamente
proporzionato col passare degli anni e il diminuire del tempo a disposizione.
A questa idiosincrasia si è aggiunta anche una certa
ritrosia nel farmi avanti, nell’avvicinare la mia sedia a quella degli altri.
La sfacciataggine degli anni passati ha ceduto il posto al timore di essere di
troppo.
Guardo, osservo i volti sorridenti e ascolto il fragore
delle risate e mi chiedo se tutta questa felicità profusa sia vissuta fino in
fondo e se anche altri, come me, abbiano indossato la maschera della commedia,
magari per distrarsi un poco da un pensiero che fatica ad uscire dalla mente.
O forse è solo che sono io storta.
Comunque da domani indosserò l’abito della vacanza e aprirò
le finestre perché entri il vento della spensieratezza, o così spero.
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