BELLA MIA

Terminato. Da pochi minuti ho chiuso la copertina del romanzo di un'autrice che amo e apprezzo sempre più: Donatella Di Pietrantonio.

Era tanto che aspettavo di leggere il romanzo "Bella mia". Fino a qualche mese fa non si trovava neppue in circolazione: fuori catalogo. Poi il successo dell'"Arminunta", altra perla, ha indotto la casa editrice a rieditare anche questo.

L'avevo acquistato alla Coop, durante un mio girovagare tra gli scaffali della sezione libri, incerdula di fronte ad una sorpesa tanto inattesa quanto gradita.

Poi l'astinenza forzata dalla lettura, causa ernia cervicale, mi aveva obbligata a riporre il volume in libreria in attesa di tempi migliori.

Il tempo però passava e l'unica a visitare i miei libri era  la polvere, depositata sui tanti testi destinati ad un futuro prossimo che continuava a sgattaiolare in avanti.

Ora il frutto è maturato e l'attesa l'ha reso ancora più dolce al mio palato che non chiedeva altro che essere dissetata dal nettare della letteratura.

Mi accorgo di essere diventata come una bimba che ha da poco imparare ad andare in bicicletta e non riesce a smettere di fare giri su giri, felice del suo recente successo, conquistato attraverso cadute, risalite e sancito da lividi e sbucciature sulle ginocchia.

Non avevo ancora finito di leggere la quadrilogia della Ferrante, altro gioiello che consiglio, perchè verio e animato dalle differenti anime  che convivono dentro un'unica città: Napoli. Autentica, a volte signora e a volte baldracca, con i suoi toni di voci che variano dal sussurro di un segreto all'urlo sguaiato di una minaccia.

Non ci riesco, quando parlo di libri mi perdo.

Ritorniamo a Bella mia 

Era già lì, pronto a nutrire i miei occhi prima ancora che potessi congedarmi da Lenuccia e Lila.

Come al solito sono restia nel raccontare la trama, come se questa ritrosia sia la logica conseguenza di un comandamento assai noto "Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te".

Sì, perchè detesto quanti, presi dall'entusiamo per una recente lettura, arrivano a raccontarti trama, descriverti personaggi, condirli con loro opinioni che, poi, vattele a scrollare di dosso e, magari, giusto per agevolarti, ti danno anche delle dritte sul finale.

Preferisco allora rimanere sul vago e tratteggare solo i contorni.

La storia ci catapulta direttamente nel capoluogo dell'Abruzzo, sconvolto dal terribile terremoto del 2009.

Siamo però nel post sisma, quando già l'allora governo aveva provveduto a realizzare le abitazioni provvisorie per gli abitanti rimansti senza casa.

Protagonisti una giovane pittrice di ceramiche, Caterina, la madre, il nipote Marco e l'Aquila, sventrata e derubata della sua linfa vitale: gli abitanti.

Una città che vive a singhiozzo. Alcuni quartieri sono ancora accessibili, altri sono invalicabili e sorvegliati dai soldati dell'esercito, perchè ancora pericolanti.

Marco, adolescente inquieto, rimasto orfano della madre, Olivia, sorella gemella di Caterina, viola spesso questi divieti per rientrare nel proprio appartamento e riappropriarsi di quel quotidiano che il terremoto gli ha sottratto sotto i suoi piedi, franato come le pareti dei tanti edifici feriti.

A badare alle sue intemperanze, la nonna, chiusa dentro il suo dolore rabbioso, e Caterina, che improvvisamente si ritrova madre senza un adeguato travaglio.

A poco a poco, tra scontri, allontanamenti e ricongiunzioni, i protagonisti riescono a rimettere in piedi un quotidiano che, come dice l'autrice stessa, non è ricostruzione, perchè nulla può essere ricostruito come prima.

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