UNA PIOGGIA CHE NON LAVA

Oggi piove, anzi, diluvia. Un vero e proprio temporale estivo, con tanto di lampi capaci di rischiarare in un secondo un cielo di piombo e roboanti tuoni.

Oggi piove, esattamente come sabato mattina scorsa. Sembra la fotocopia di quella tremenda e assurda giornata. Ore, minuti ormai indelebili nella mia memoria che neppure la pausa milanese infrasettimanale è riuscita a far svaporare.

Speravo che il ritorno a casa, a Milano, mi avrebbe aiutato a mettere una certa distanza tra quanto accaduto quel pomeriggio e l'oggi.

Non è stato assolutamente così. Ho coltivato per alcuni giorni, immersa nel trambusto delle mille incombenze quotidiane, la magra illusione di poter razionalizzare quanto i miei occhi avevano visto, ma tornata in montagna, ho capito subito che non era mutato nulla.

Oggi, poi, complice l'acquazzone, tutto è tornato a galla.

Dopo mesi ero finalmente riuscita a tornare tra i miei monti, felice di poter ritrovare quella natura incontaminata capace di restituirmi la quiete che la città spesso mi risucchia. Felice di riabbraciare i miei affetti, sempre troppo lontani.

Grande è stata la sorpresa quando ho saputo che erano presenti anche le mie cugine Roberta e Alessandra.

Ci aveva separato un anno di silenzio e ora forte era l'urgenza di ritrovarci e raccontarci.

Alessandra, da buona ligure, è una grande camminatrice. Non perde mai occasione, a Genova, dove vive, di farsi chilometri sui monti a ridosso della sua casa.

Aveva proposto, dopo un bicchiere di coca e poche parole, di fare una breve passeggiata nel bosco dietro alle Pirelli, la casa dei miei bisnonni.

Il cielo si era nuovamente aperto e aveva regalato un sole caldo e un venticello gradevolissimo che invitavano al cammino.

Come rifiutare? E poi il bosco dietro la casa dei nonni Emma e Giuseppe ha sempre esercitato su di me un fascino incredibile.

Da bambina ha rappresentato il proibito, il limite imposto dagli adulti che ci intimavano di non addentrarci troppo per timore di cinghiali e vipere. Divieto puntualmente violato, divenuto quasi un rito di iniziazione per essere accolti dal gruppo dei più grandi.

Adolescente, mentre percorrevo quei sentieri che a poco a poco lasciavano dietro l'eco delle voci di famiglia, immaginavo mio zio Sirio, partigiano, salire lungo le pendici del monte per raggiungere i ribelli.

Anche mio nonno, Oscar, e alcuni suoi fratelli si erano salvati grazie a quei sentieri così ricchi di vegetazione da poter diventare un buon nascondiglio per chi fugge.

Durante gli anni dell'occupazione nazifascista, qualcuno, forse del paese, aveva rivelato il nascondiglio che offriva riparo al nonno e agli zii durante i rastrellamanti: un tunnel nascosto dietro l'armadio dei miei bisnonni che conduceva al bosco. Ma quel giorno, proprio per decisione di mio nonnno, si erano diretti subito verso il monte. Si erano salvati solo grazie a questo improvviso cambio di strategia. I soldati erano giunti in casa e avevano obbligato il bisnonno Giuseppe a spostare l'armadio. La nonna Emma, per la paura di perdere nuovamente dei figli, già aveva perso lo zio Fernando, era svenuta.

Me li sono sempre immaginata, il nonno e gli zii, con i loro scarponi da contadini, le giubbe pesanti, i calzettoni di lana sferruzzati dalle donne di casa, fuggire in silenzio.

Le suggestioni del passato e il clima gradevole avevano reso più che desiderabile quella passeggiata.

Sono così rientrata a casa ad armarmi di scarponi da trekking e leggins, il mio consueto abbigliamento da escursionista.

Quando Alessandra mi ha vista comparire tutta bardata, è scoppiata a ridere, dicendomi che somigliavo a Fantozzi pronto per la sua mitica partita a tennis con l'inseparabile Filini.

Eravamo rilassate e con grande voglia di ridere.

In particolare il pettegolezzo della giornata verteva sul professore, un signore di Reggio o Parma, ancora non si era capito, che aveva preso in affitto la casa dello zio Dante, l'ultima del piccolo borgo, proprio all'imbocco del bosco.

Alessandra, che a giugno aveva trascorso una decina di giorni in paese, ci aveva aggiornate sulle ultime novità, soprattutto sulla stravaganza di questo signore che si vedeva poco, si alzava al mattino ad un'ora antelucana e tornava la sera verso le sette. Ancor più avvolta nel mistero la donna che con lui abitava: moglie, compagna, badante? Non si capiva. Di certo qualche stranezza doveva esserci, visto che stava tutto il giorno rintanata in casa, le persiane chiuse. Le rare volte che la si era vista in giardino stendeva e ritirava i panni fatti asciugare all'aria secca e profumata dei monti. Dai tratti sembrava slava, ci eveva detto Alessandra: carnagione chiara, capelli biondi e corpo abbastanza formoso.

Facevamo battute e ridevamo tra noi come tre adolescenti stupide, senza minimanente pensare che di lì a qualche minuto tutta quella ritrovata complicità e allegria si sarebbe trasformata in ben altro.

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