Francesco Trento
LA GUERRA NON ERA ANCORA FINITA
I partigiani della Volante Rossa
Sono
poco più di 150 pagine, ma in uno spazio tanto ristretto, Francesco Trento
riesce a tracciare un filo conduttore tra l’Italia fascista e quella post fascista.
La
conclusione è drammatica: nulla è mutato e chi era al comando ieri, in camicia
nera, lo è ancora oggi, in abiti borghesi.
“La
guerra non era ancora finita” narra le imprese di una gruppo di ex partigiani
della sezione Lambrate, a Milano, Volante rossa, che, a guerra terminata, dopo il 25 aprile
1945, non depone le armi, ma vigila e compie anche azioni di sangue per
ristabilire una giustizia che la Giustizia non ha ristabilito.
Non
si tratta di una caso isolato: nel nostro Paese, nonostante gli appelli a
riconsegnare le armi, molti furono coloro che non rispettarono le disposizioni,
ma nascosero interi arsenali chi nell’attesa di un progetto più ampio, come nell’URSS
del 1917, chi per regolare antiche ruggini, chi per saldare politicamente conti
ancora in sospeso.
L’attenzione
dell’autore è puntata sulla Volante rossa: i suoi protagonisti, la sua ascesa, le sue
imprese e il suo declino.
Attraverso
lo snodarsi delle vicende di questo gruppo di ex partigiani, viene però
ricostruita la storia dell’Italia dal 1945 al 1949.
E’
un Italia a brandelli in cui l’economia fatica a rinascere. I prezzi sono alle
stelle, la disoccupazione è alta e i generi alimentari, anche quelli di prima
necessità, scarseggiano.
Le
tensioni sociali rendono incandescente un clima che rischia di diventare
esplosivo.
In
questa Italia liberata non c’è però posto per i partigiani: a poco a poco
vengono allontanati dalla polizia, estromessi dai pubblici uffici e sostituiti
con chi già alle spalle possiede una carriera, carriera sì, ma maturata nelle
file del partito fascista.
Coloro
che hanno pagato con la vita la sconfitta del
nazi-fascismo sono beffati dal loro stesso paese: pagano le azioni
svolte durante gli anni della resistenza, anche col carcere, mentre i fascisti
restano a piede libero.
Fascisti
che già all’indomani della liberazione si riorganizzano dando vita a gruppi
paramilitari e politici, pronti a cavalcare l’onda del malcontento e ad allearsi
con i monarchici per organizzare un colpo di stato in grado di allontanare lo
spettro del referendum e del suo esito.
Fascisti
che assaltano le case del popolo e le sedi del PCI, contro i quali rispondono
le azioni degli ex partigiani.
1946:
anno del referendum, ma anche dell’amnistia voluta dal leader del PCI
Togliatti, un’ amnistia che avrà il merito di liberare dal carcere quei pochi,
tra i fascisti, che vi erano entrati.
E mentre operai ex combattenti sono sempre più
delusi dalla linea politica adottata dal partito, tanto da pensare ad un
ritorno sui monti, De Gasperi, segretario della DC, tende sempre più la mano
all’alleato americano, incoraggiato anche dalla chiesa che teme, dopo il
tracollo elettorale regionale della Democrazia Cristiana, un affermarsi del
potere rosso.
Si
tessono trame oscure, molte delle quali non ancora chiarite, tra poteri dello
Stato, mafia e servizi segreti americani per scongiurare il pericolo di una
deriva socialista.
Esempio
tragico di questi occulti accordi, il triste episodio di Portella delle Ginestre.
Primo
maggio 1947: 1500 persone sono riunite per commemorare la festa dei lavoratori
presso la pianura di Portella delle Ginestre; “all’improvviso una mitragliatrice
apre il fuoco”. Undici i morti, tra cui ragazzini e sessantacinque i feriti.
Tutto viene fatto ricadere sul bandito Salvatore Giuliano, ma dietro di lui la
mafia e gli americani. Tutto per punire il risultato elettorale delle regionali
che aveva visto un’ascesa del PCI e un conseguente tracollo dell a DC.
E
poi le manovre per allontanare il PCI dal governo, scomodo per chiesa e USA, un
PCI che firma persino il mantenimento dei Patti Lateranensi del ’29.
Di
nuovo delusione da parte della base.
Ma
il partito, nonostante gli evidenti falli a gamba tesa, resta tiepido, frena
gli ardori di quanti vorrebbero tentare la carta della rivolta.
Stesso
atteggiamento anche dopo le elezioni del 1948, che vedono la schiacciante
vittoria della DC degasperiana e l’attentato a Togliatti, il 14 luglio 1948.
La
notizia del ferimento del leader comunista si diffonde velocemente e con
altrettanta rapidità operai, ex partigiani, membri del partito imbracciano quelle
armi che avevano nascosto.
La
base è pronta e orami convita che il momento tanto atteso sia giunto: la rivoluzione
è in atto.
Si
occupano fabbriche, si proclama lo sciopero generale.
Ancora
una volta però, tutto è ricondotto all’ordine. Lo stesso Togliatti fa sapere
tramite comunicato di non volere la rivoluzione.
Le
azioni contro i partigiani riprendono, più virulente di prima. Molti sono
quelli che pagano col carcere l’aver combattuto per la libertà del proprio
paese, mentre i fascisti tornano alla spicciolata al proprio posto, complice la
politica liberista di Einaudi e i metodi repressivi di primo Novecento di
Scelba.
Fa
male, almeno a me, avere la consapevolezza di vivere in un paese che più che
senza memoria, è privo di gratitudine.
A
giustificare l’atteggiamento dei governi subito dopo la liberazione non si può
neppure invocare il filtro della storia, che, spesso, purtroppo, tutto
distorce.
Neppure
è lecito appellarsi al revisionismo storico, troppo presto, le vicende non
erano state neppure metabolizzate.
Si
tratta, a mio avviso, di bieca mancanza di riconoscenza e di miopia.
I
fatti del post 1945 non possono essere ignorati laddove si voglia ricostruire
la storia del nostro Paese, capire la stagione di violenza che ha insanguinato
l’Italia tra il 1969 e i primi anni Ottanta.
E
quando ascolto alcuni rappresentanti delle Istituzioni riempirsi la bocca con
le parole resistenza, partigiani, liberazione, mi viene voglia di far loro
recapitare il libro che ho appena letto.
A
loro e a coloro che detenevano il monopolio dell’informazione: hanno dipinto i partigiani
come volgari mariuoli, dediti a saccheggi e violenze fini a se stessi.
Hanno
svuotato di significato le azioni portate avanti dai movimenti di resistenza,
lasciandole alla mercè del luogo comune e dell’ignoranza di chi, volutamente,
veniva tenuta all’oscuro della storia.
Che
triste.
Il
resto è storia di oggi.
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